LABOUR MARKET, WAGES, INEQUALITIES AND WELFARE
1) INSTITUTIONAL DYNAMICS
1a) The institution of the firm
1a.1) Bruno Jossa: “Investiment funding: the main problem facing labour-managed
firms” (2)
(argomento del paper: non-capitalistic firms and investment in physical capital)
OK
Abstract
This paper addresses the financing difficulties of producer cooperatives and
the risks taken by their providers of funds. One of its aims is to argue that
a cooperative (requiring its members to underwrite bonds will not thereby automatically
cease being an LMF or run the risk of underinvesting. It is also argued that
the LMF-type firm concerned will not necessarily tend to make high-risk investments
since the link that binds the members of an LMF to their firm is closer than
that between shareholders and capitalistic firms. Additional arguments are developed
and discussed to confute the widespread assumption that LMFs have no way out
of their funding difficulties.
The conclusions we arrive at in this study are, in the main, as follows:
a) serious financing difficulties are mainly faced in connection with the establishment
of new democratic firms
b) as a rule, a democratically managed LMF-type firm financing itself will not
tend to underinvest;
c) compared to a ‘twin’ public company, an LMF resolving to raise
loan capital in line with the procedure suggested above will not show any particular
propensity for high-risk investment;
d) providers of funds to LMFs do not run higher risks than financers of ‘twin’
public companies in a capitalistic system.
1a.2) Gaetano Cuomo: “Cooperative e Crescita Economica” (39) OK
(argomento del paper: non-capitalistic firms and investment in human capital)
Abstract
La tesi che si vuole sostenere è che l’impresa cooperativa operante
nelle economie di mercato dovrebbe avere una maggiore tendenza allo sviluppo
del capitale umano, rispetto all’impresa capitalistica tradizionale. Come
è noto, quest’ultima ha interesse a finanziare quella parte della
formazione dei lavoratori che è specifica all’impresa stessa, non
quella generica, che potrebbe indurre i dipendenti a comportamenti sleali, cioè
all’abbandono dell’impresa, una volta ottenuta una maggiore qualificazione
spendibile sul mercato. Da ciò deriva che la formazione non specifica
è a carico del lavoratore e di fatto risulta scoraggiata.
Nella cooperativa, invece, l’interesse di ogni singolo socio-lavoratore
alla formazione generica (oltre che specifica) può coincidere con quello
dell’impresa e può condurre ad un maggior livello di spesa per
la formazione, aumentando la dotazione di capitale umano dell’impresa
e quindi la sua capacità di crescita nel lungo periodo. Tale tendenza
dovrebbe essere tanto più forte quanto maggiore è la convinzione
della cooperativa che il rapporto col socio sarà di lungo periodo. Una
tale aspettativa dipende, a sua volta, dall’investimento di capitale che
il socio ha effettuato nell’impresa e dal livello di coesione esistente
tra i soci.
L’apporto di capitale da parte dei soci, anche se in misura minima, rappresenta
una realtà in tutti gli ordinamenti giuridici, noti all’autore,
che prevedono la forma di impresa cooperativa. Questo dato di fatto contrasta
con un’interpretazione restrittiva del modello dell’impresa autogestita
di Ward e Vanek, ritenuto comunemente lo schema di riferimento teorico dell’impresa
cooperativa, che tenda ad escludere ogni forma di partecipazione al capitale
di rischio da parte dei lavoratori. Il modello di cui si è detto fu creato,
infatti, per spiegare il funzionamento di organizzazioni economiche autogestite
presenti nelle vecchie economie pianificate dell’Europa orientale e non
sembra del tutto adeguato a rappresentare il funzionamento delle cooperative
dei paesi occidentali. Si terrà conto, pertanto, dei numerosi contributi
critici di Meade.
Una delle ipotesi del lavoro è che i soci che aderiscono ad una cooperativa
presentino una sostanziale omogeneità riguardo alla dotazione originaria
di capitale, ritenuta limitata (in caso contrario avrebbero maggiore interesse
a costituire un’impresa di tipo capitalistico). In tal modo, il valore
segnaletico di un maggior apporto di capitale da parte dei lavoratori è
univoco: più alto è il conferimento, più è evidente
che il socio lega in modo significativo le proprie sorti a quelle dell’impresa,
perché presumibilmente è alto il livello di fiducia che egli ripone
nella stessa.
La coesione tra i soci è l’altra variabile ritenuta cruciale. Se
da un lato, tale caratteristica sembra rendere la forma organizzativa in esame
non idonea ad un impiego generalizzato e contribuirebbe a spiegare la dominanza
dell’impresa capitalistica (Hansmann), dall’altro, essa è
considerata la ragione di numerosi casi di successo. La presenza di un collante
di tipo culturale, politico o religioso tra i membri di una comunità,
aumenta la probabilità che, a partire da una situazione di scarsa dotazione
di risorse materiali e imprenditoriali, nascano delle imprese cooperative e
che queste si sviluppino con sostanziale continuità.
Laddove viene a crearsi una situazione virtuosa, per la presenza dei fattori
di cui si è detto (partecipazione dei soci al capitale, forte coesione
tra di essi) è probabile che il socio non abbia alcun interesse ad abbandonare
la cooperativa, mentre quest’ultima, a sua volta, è indotta a sviluppare
tutte le potenzialità delle risorse umane esistenti attraverso una valorizzazione
che non sia finalizzata alla sola produttività immediata del lavoro ma
tenga conto anche del lungo periodo. Tutto questo porta all’internalizzazione
dei costi di formazione non specifica, che costituiscono un investimento con
rendimenti a lungo termine e vanno a potenziare le capacità di crescita.
Si tratta di un’opportunità non sfruttata dalle imprese capitalistiche,
che, a tale proposito, risultano vittime di uno schema di ragionamento riconducibile
al dilemma del prigioniero.
1b) The institutions regulating income distribution/labor market institutions
1b.1) Ennio Bilancini and Simone D’Alessandro: “Functional Distribution
and Industrial Takeoff: The Role of Wages and Natural Resources” (7) OK:
MANCA UNA RIMODULAZIONE DELLA PROPOSTA PER RENDERE IL LAVORO PIU' COERENTE CON
QUESTA PROPOSTA
(altra possibilità: spostare dove si trattano economie duali)
Abstract
We study a stylized two sectors economy where the manufacturing sector is assumed
to be constituted by a continuum of small markets producing distinct commodities.
Following Murphy et al. (1989) we model industrialization as the introduction
of an increasing returns technology in place of a constant returns one. In particular,
we take in to account a modified version of this model provided by Bilancini
and D’Alessandro (2005) which introduces the functional distribution of
income among groups’ membership (landowners, capitalists, workers). We
develop this framework towards two lines of research. The first one analyses
the effect of the increase of agricultural productivity on income and industrialization
stressing the role of the distribution of the generated agricultural surplus
between landowners and workers. The second line tries to include in the model
some specific characteristics of the natural resources in order to compare our
results with those of the literature on the curse of natural resources.
1b.2) Luca Gori: “Imperfezioni del mercato del lavoro e modelli di crescita
a generazioni sovrapposte” (48) OK
(altra possibilità: mandare in proposta Opocher. simile al paper di Lisciandra)
Abstract
In particolare, l'obiettivo è quello di investigare se tali imperfezioni
possano essere favorevoli alla crescita, in un contesto in cui è presente
disoccupazione involontaria creata dalla regolamentazione di un mercato del
lavoro senza eterogeneità, attraverso l'imposizione di un salario minimo
e di un bonus di disoccupazione. Effetti positivi dell'imposizione di un salario
minimo sulla crescita, sono stati investigati, tra gli altri, da Cahuc-Michel,
in un lavoro intitolato "Minimum Wage, Unemployment and Growth" e
pubblicato su European Economc Review (1996), nel quale i due autori utilizzano
un modello OLG con crescita endogena.
Il lavoro che mi propongo di realizzare, vuole analizzare in particolar modo,
l'andamento in stato stazionario delle variabili chiave del modello in funzione
del livello salariale imposto: tasso di disoccupazione, capitale e reddito.
Oltre che sugli aspetti di crescita, l'attenzione è rivolta anche all'analisi
di welfare. e, quindi, al confronto tra il benessere degli individui appartenenti
ad una economia con salario regolamentato, rispetto al livello di welfare ottenuto
dagli agenti appartenenti ad una economia di concorrenza perfetta.
Una possibile estensione, è quella di segmentare il mercato del lavoro
e considerare due settori dove esistono lavoratori specializzati e non specializzati:
i primi con possibilità di riunirsi in sindacati abili a contrattare
il salario con i rappresentanti delle imprese; i secondi, invece, operano in
un mercato del lavoro nel quale il salario è imposto. L'obiettivo, è
quello di analizzare gli effetti macroeconomici sulla crescita e sul benessere
di politiche del bilancio pubblico (in pareggio ed in deficit), seguendo il
lavoro di Kaas-Von Thadden "Budgetary Policy and Unemployment Dynamics
in an OLG Model with Collective Bargaining", Economic Journal (2004), nel
quale i due autori utilizzano un modello di crescita con un mercato del lavoro
non segmentato.
1b.3) L. Fanti “Imperfezioni dei mercati, politiche pubbliche e dinamica
economica" (53.2) NON HO TROVATO SUOI COMMENTI A QUESTA COLLOCAZIONE
(altra possibilità: mandare in proposta Opocher. simile al paper di Lisciandra)
Abstract
Nel lavoro si analizzano le imperfezioni dei mercati (mercato del prodotto e
mercato del lavoro, in
quest'ultimo principalmente salario minimo, union bargaining, salario d'efficienza
e così via),
equilibri multipli nella crescita, corrispondenti trappole della povertà,
e ruolo delle politiche
pubbliche nel contesto di modelli OLG à la Samuelson-Diamond (esteso
a funzioni di utilità più
generali, includendo deviazioni dal regime di concorrenza perfetta e confrontando
il caso di
aspettative "miopi" e di "previsione perfetta")
1b.4) Davide Gualerzi: “Learning, inequality and patterns of consumption” (19.1 modificato) PER IL MOMENTO RIMANE QUI, DA RICONSIDERARE SUCCESSIVAMENTE IN RELAZIONE AL LAVORO DI GUALERZI PER LA PROPOSTA OPOCHER
Abstract
An important aspect of the relationship between growth, inequality and labour
market has recently emerged from three converging phenomena: the development
of the ICT sector; the diffusion of consumer electronics; the growing divide
between ICT skilled and ICT unskilled workers.
Petit and Soete (Setterfield, 2002) have pointed out two major trends of transformation
in the two past decades: the skill-biased nature of technological change, associated
with the spread of new information and communication technologies, and the rise
of income inequalities. On the one hand, the particular nature of technological
change “suggests a new complementary relationship between capital and
skills” (p. 281); on the other, it implies a growing difference between
workers that acquire these skills and those who do not. This is reflected in
the structure of employment. Petit and Soete also indicate the link between
learning required at the level of production and learning on the part of consumers,
suggesting that “…the divisions occurring in society in terms of
the desire and ability of individuals or families to use new technologies are
closely related to what is happening within working organizations.”(p.288)
The paper focuses on the dualism of the labour market and consumption patterns
arising from the uneven process of acquisition of ICT-related skills. In particular,
it aims at assessing the new dimension this adds to the relationship between
inequality and growth following two directions:
a) the negative impact on inequality, since it reinforces via a positive feedback
the tendency towards inequality of income and opportunities;
b) the negative impact on growth, since the spread of ICT products might be
constrained by the unevenness of consumer learning.
The paper also aims at bringing together studies from different perspectives,
from those that have focused on inequality to those focusing on skill acquisition
and learning, to highlight a new phenomenon that might be a serious limitation
for the development of a “knowledge economy” often advocated by
the European Community. In this perspective, it may contribute to the design
of policy that should correct these negative effects.
1b.5) Carmelo Parello: “An Innovation-Based Growth Model of Unemployment and Wage Inequality” (55) OK
Abstract
Thus far, Schumpeterian growth literature has analyzed the relationship between
growth and
unemployment by focusing on an hybrid R&D-based endogenous growth model,
in which
unemployment results because of the existence of market frictions. Although
an approach as such
is capable of accounting for the role played by technological progress in destroying
jobs, this
literature is silent as regard the issue of change in wage inequality that technological
progress
generates over time.
This contribution is intended to fill this gap, by using a Schumpeterian endogenous
growth model
in which we do not allow for a Walrasian labour market and in which productivity
of labour is
assumed to be affected by the firms wage offer. Specifically, we assume that
effort may differ
among individuals and that the increase in efficiency resulting from the same
increase in effort
differs across manufacturing and R&D but not between industries.
In our model, individuals are either employed or unemployed. If they are employed,
they can adjust
their effort, but they also derive some disutility from effort at work. We apply
the idea of Akerlof
(1982) and Akerlof and Yellen (1990) that when deciding about their effort,
individuals respect a
fairness norm, in the sense that they compare their wage with their own opportunities
outside their
present occupation, including unemployment. With homogeneous labour, these outside
opportunities can be measured by the average labour income in the economy, including
the labour
income of the unemployed (which can be assumed to be zero in the basic model,
or positive –
because of government benefits- in an possible extension). In order to dispense
with aggregation
problems, we follow Gali (1995) and assume that the savings-consumption decision
is made by
households. The households preferences are represented by an instantaneous utility
function that
is (i) separable between utility from household consumption and the family members
disutility of
effort, and (ii) linear in the individual disutility of effort.
The aims of the paper are the following:
1. To build a tractable analytical framework in which both innovation-based
growth and
unemployment are endogenous outcomes of the model.
2. To study the positive properties of the model and highlight the existing
relationship between
technological advances, the rise of unemployment and the evolution of wage inequality.
3. To study the normative properties of the model by analyzing the possible
relationship between
R&D policy and employment policy.
2) SOCIAL DYNAMICS
2.1) Francesco Drago: “Self-fulfilling beliefs and persistent inequality” (36) OK: MANCA UNA RIMODULAZIONE DELL'ABSTRACT PER UN CONTRIBUTO ESCLUSIVAMENTE TEORICO
Abstract
La ricerca intende offrire un modello teorico di disuguaglianza persistente
in cui self-fulfilling beliefs sulla relazione tra sforzo e successo economico
rappresentano la forza che determina un basso tasso di mobilità sociale.
Seguendo alcuni recenti contributi (ad esempio Piketty, 1995) il paper prende
come punto di partenza due teorie fondamentali che in sociologia spiegano i
bassi tassi di mobilità sociale. La prima di Merton e Boudon sostiene
che gli individui valutano la loro performance paragonandola ad un "reference
group" dal quale provengono. In questa teoria, gli agenti che provengono
dai ceti bassi sono più facilmente soddisfatti della loro performance
e dunque meno motivati a raggiungere alte posizioni nella scala sociale rispetto
agli agenti che provengono da ceti sociali più alti. La seconda teoria
è quella di Bourdie che attribuisce la disuguaglianza persistente al
"discorso dominante" nelle società capitaliste e al modo in
cui questo scoraggia gli agenti dei ceti più bassi ad intraprendere azioni
dirette verso posizioni sociali più
prestigiose. Un esempio è il ben noto modello di "statistical discrimination".
Le due teorie hanno implicazioni di politica economica e di giustizia sociale
ben differenti. Tuttavia in entrambe le teorie i poveri rimangono poveri perché
non sono sufficientemente motivati ed in questo senso le maggiori implicazioni
sono a livello econometrico "observationally equivalent". Il paper
tenta di offrire un modello teorico che unisce in un unico framework queste
due teorie. Il tentativo è quello di offrire un modello teorico che produca
dei test empirici per discriminare la prima teoria dalla seconda. Il secondo
stage della ricerca cerca mira a stimare con dati NLSY e German Socio Economic
Panel la forza relativa di queste due teorie nello spiegare i tassi di mobilità
sociale in US e in Germania.
2.2) Lavezzi-Meccheri “Random Networks, Output and Inequality” OK
In this paper we extend the model of job contact networks of Calvò-Armengol and Jackson (2004, 2005) to consider random networks, that is networks in which the link structure is drawn from a known distribution in every period, drawing on Lavezzi and Meccheri (2005) for the consideration of heterogeneous jobs.
In this way we aim at two results: to isolate the "pure" effect of network density (which reflects the average number of links in a network) from the effect of topology (discussed in detail in Lavezzi and Meccheri, 2006); to suggest a possible way of evaluating the "strength of weak ties hypothesis" (Granovetter, 1973), when random links are interpreted as "weak links", that is social relationships characterized by a low frequency of interaction.
Preliminary results from simulations show that in random networks: i) an increase in network density increases output and reduces inequality, but there are clear decreasing returns; ii) random networks with the same density produce the same level of output and inequality, irrespectively of the relative values of density's determinants, i. e. the number of agents (n) and the probability of link formation (p). On the contrary, when we compare this reult with fixed networks, the same density can be associated to different levels of output and inequality, according to the network geometry. iii) If we consider random contacts as weak ties, it seems that the hypothesis on the ``strength of weak ties'' is verified in our framework only if the comparison is made with a ``fixed network'' which displays an asymmetric geometry of social links.