"Crescita economica:dinamiche sociali ed istituzionali

Economic Growth:Institutional and Social Dynamics "

PROGETTO DI RICERCA DI INTERESSE NAZIONALE - 2005

LABOUR MARKET, WAGES, INEQUALITIES AND WELFARE

1) INSTITUTIONAL DYNAMICS

1a) The institution of the firm

1a.1) Bruno Jossa: “Investiment funding: the main problem facing labour-managed firms” (2)
(argomento del paper: non-capitalistic firms and investment in physical capital) OK

Abstract
This paper addresses the financing difficulties of producer cooperatives and the risks taken by their providers of funds. One of its aims is to argue that a cooperative (requiring its members to underwrite bonds will not thereby automatically cease being an LMF or run the risk of underinvesting. It is also argued that the LMF-type firm concerned will not necessarily tend to make high-risk investments since the link that binds the members of an LMF to their firm is closer than that between shareholders and capitalistic firms. Additional arguments are developed and discussed to confute the widespread assumption that LMFs have no way out of their funding difficulties.
The conclusions we arrive at in this study are, in the main, as follows:
a) serious financing difficulties are mainly faced in connection with the establishment of new democratic firms
b) as a rule, a democratically managed LMF-type firm financing itself will not tend to underinvest;
c) compared to a ‘twin’ public company, an LMF resolving to raise loan capital in line with the procedure suggested above will not show any particular propensity for high-risk investment;
d) providers of funds to LMFs do not run higher risks than financers of ‘twin’ public companies in a capitalistic system.

1a.2) Gaetano Cuomo: “Cooperative e Crescita Economica” (39) OK
(argomento del paper: non-capitalistic firms and investment in human capital)

Abstract
La tesi che si vuole sostenere è che l’impresa cooperativa operante nelle economie di mercato dovrebbe avere una maggiore tendenza allo sviluppo del capitale umano, rispetto all’impresa capitalistica tradizionale. Come è noto, quest’ultima ha interesse a finanziare quella parte della formazione dei lavoratori che è specifica all’impresa stessa, non quella generica, che potrebbe indurre i dipendenti a comportamenti sleali, cioè all’abbandono dell’impresa, una volta ottenuta una maggiore qualificazione spendibile sul mercato. Da ciò deriva che la formazione non specifica è a carico del lavoratore e di fatto risulta scoraggiata.
Nella cooperativa, invece, l’interesse di ogni singolo socio-lavoratore alla formazione generica (oltre che specifica) può coincidere con quello dell’impresa e può condurre ad un maggior livello di spesa per la formazione, aumentando la dotazione di capitale umano dell’impresa e quindi la sua capacità di crescita nel lungo periodo. Tale tendenza dovrebbe essere tanto più forte quanto maggiore è la convinzione della cooperativa che il rapporto col socio sarà di lungo periodo. Una tale aspettativa dipende, a sua volta, dall’investimento di capitale che il socio ha effettuato nell’impresa e dal livello di coesione esistente tra i soci.
L’apporto di capitale da parte dei soci, anche se in misura minima, rappresenta una realtà in tutti gli ordinamenti giuridici, noti all’autore, che prevedono la forma di impresa cooperativa. Questo dato di fatto contrasta con un’interpretazione restrittiva del modello dell’impresa autogestita di Ward e Vanek, ritenuto comunemente lo schema di riferimento teorico dell’impresa cooperativa, che tenda ad escludere ogni forma di partecipazione al capitale di rischio da parte dei lavoratori. Il modello di cui si è detto fu creato, infatti, per spiegare il funzionamento di organizzazioni economiche autogestite presenti nelle vecchie economie pianificate dell’Europa orientale e non sembra del tutto adeguato a rappresentare il funzionamento delle cooperative dei paesi occidentali. Si terrà conto, pertanto, dei numerosi contributi critici di Meade.
Una delle ipotesi del lavoro è che i soci che aderiscono ad una cooperativa presentino una sostanziale omogeneità riguardo alla dotazione originaria di capitale, ritenuta limitata (in caso contrario avrebbero maggiore interesse a costituire un’impresa di tipo capitalistico). In tal modo, il valore segnaletico di un maggior apporto di capitale da parte dei lavoratori è univoco: più alto è il conferimento, più è evidente che il socio lega in modo significativo le proprie sorti a quelle dell’impresa, perché presumibilmente è alto il livello di fiducia che egli ripone nella stessa.
La coesione tra i soci è l’altra variabile ritenuta cruciale. Se da un lato, tale caratteristica sembra rendere la forma organizzativa in esame non idonea ad un impiego generalizzato e contribuirebbe a spiegare la dominanza dell’impresa capitalistica (Hansmann), dall’altro, essa è considerata la ragione di numerosi casi di successo. La presenza di un collante di tipo culturale, politico o religioso tra i membri di una comunità, aumenta la probabilità che, a partire da una situazione di scarsa dotazione di risorse materiali e imprenditoriali, nascano delle imprese cooperative e che queste si sviluppino con sostanziale continuità.
Laddove viene a crearsi una situazione virtuosa, per la presenza dei fattori di cui si è detto (partecipazione dei soci al capitale, forte coesione tra di essi) è probabile che il socio non abbia alcun interesse ad abbandonare la cooperativa, mentre quest’ultima, a sua volta, è indotta a sviluppare tutte le potenzialità delle risorse umane esistenti attraverso una valorizzazione che non sia finalizzata alla sola produttività immediata del lavoro ma tenga conto anche del lungo periodo. Tutto questo porta all’internalizzazione dei costi di formazione non specifica, che costituiscono un investimento con rendimenti a lungo termine e vanno a potenziare le capacità di crescita. Si tratta di un’opportunità non sfruttata dalle imprese capitalistiche, che, a tale proposito, risultano vittime di uno schema di ragionamento riconducibile al dilemma del prigioniero.


1b) The institutions regulating income distribution/labor market institutions

1b.1) Ennio Bilancini and Simone D’Alessandro: “Functional Distribution and Industrial Takeoff: The Role of Wages and Natural Resources” (7) OK: MANCA UNA RIMODULAZIONE DELLA PROPOSTA PER RENDERE IL LAVORO PIU' COERENTE CON QUESTA PROPOSTA
(altra possibilità: spostare dove si trattano economie duali)

Abstract
We study a stylized two sectors economy where the manufacturing sector is assumed to be constituted by a continuum of small markets producing distinct commodities. Following Murphy et al. (1989) we model industrialization as the introduction of an increasing returns technology in place of a constant returns one. In particular, we take in to account a modified version of this model provided by Bilancini and D’Alessandro (2005) which introduces the functional distribution of income among groups’ membership (landowners, capitalists, workers). We develop this framework towards two lines of research. The first one analyses the effect of the increase of agricultural productivity on income and industrialization stressing the role of the distribution of the generated agricultural surplus between landowners and workers. The second line tries to include in the model some specific characteristics of the natural resources in order to compare our results with those of the literature on the curse of natural resources.

1b.2) Luca Gori: “Imperfezioni del mercato del lavoro e modelli di crescita a generazioni sovrapposte” (48) OK
(altra possibilità: mandare in proposta Opocher. simile al paper di Lisciandra)

Abstract
In particolare, l'obiettivo è quello di investigare se tali imperfezioni possano essere favorevoli alla crescita, in un contesto in cui è presente disoccupazione involontaria creata dalla regolamentazione di un mercato del lavoro senza eterogeneità, attraverso l'imposizione di un salario minimo e di un bonus di disoccupazione. Effetti positivi dell'imposizione di un salario minimo sulla crescita, sono stati investigati, tra gli altri, da Cahuc-Michel, in un lavoro intitolato "Minimum Wage, Unemployment and Growth" e pubblicato su European Economc Review (1996), nel quale i due autori utilizzano un modello OLG con crescita endogena.
Il lavoro che mi propongo di realizzare, vuole analizzare in particolar modo, l'andamento in stato stazionario delle variabili chiave del modello in funzione del livello salariale imposto: tasso di disoccupazione, capitale e reddito.
Oltre che sugli aspetti di crescita, l'attenzione è rivolta anche all'analisi di welfare. e, quindi, al confronto tra il benessere degli individui appartenenti ad una economia con salario regolamentato, rispetto al livello di welfare ottenuto dagli agenti appartenenti ad una economia di concorrenza perfetta.
Una possibile estensione, è quella di segmentare il mercato del lavoro e considerare due settori dove esistono lavoratori specializzati e non specializzati: i primi con possibilità di riunirsi in sindacati abili a contrattare il salario con i rappresentanti delle imprese; i secondi, invece, operano in un mercato del lavoro nel quale il salario è imposto. L'obiettivo, è quello di analizzare gli effetti macroeconomici sulla crescita e sul benessere di politiche del bilancio pubblico (in pareggio ed in deficit), seguendo il lavoro di Kaas-Von Thadden "Budgetary Policy and Unemployment Dynamics in an OLG Model with Collective Bargaining", Economic Journal (2004), nel quale i due autori utilizzano un modello di crescita con un mercato del lavoro non segmentato.


1b.3) L. Fanti “Imperfezioni dei mercati, politiche pubbliche e dinamica economica" (53.2) NON HO TROVATO SUOI COMMENTI A QUESTA COLLOCAZIONE
(altra possibilità: mandare in proposta Opocher. simile al paper di Lisciandra)

Abstract
Nel lavoro si analizzano le imperfezioni dei mercati (mercato del prodotto e mercato del lavoro, in
quest'ultimo principalmente salario minimo, union bargaining, salario d'efficienza e così via),
equilibri multipli nella crescita, corrispondenti trappole della povertà, e ruolo delle politiche
pubbliche nel contesto di modelli OLG à la Samuelson-Diamond (esteso a funzioni di utilità più
generali, includendo deviazioni dal regime di concorrenza perfetta e confrontando il caso di
aspettative "miopi" e di "previsione perfetta")

1b.4) Davide Gualerzi: “Learning, inequality and patterns of consumption” (19.1 modificato) PER IL MOMENTO RIMANE QUI, DA RICONSIDERARE SUCCESSIVAMENTE IN RELAZIONE AL LAVORO DI GUALERZI PER LA PROPOSTA OPOCHER

Abstract
An important aspect of the relationship between growth, inequality and labour market has recently emerged from three converging phenomena: the development of the ICT sector; the diffusion of consumer electronics; the growing divide between ICT skilled and ICT unskilled workers.
Petit and Soete (Setterfield, 2002) have pointed out two major trends of transformation in the two past decades: the skill-biased nature of technological change, associated with the spread of new information and communication technologies, and the rise of income inequalities. On the one hand, the particular nature of technological change “suggests a new complementary relationship between capital and skills” (p. 281); on the other, it implies a growing difference between workers that acquire these skills and those who do not. This is reflected in the structure of employment. Petit and Soete also indicate the link between learning required at the level of production and learning on the part of consumers, suggesting that “…the divisions occurring in society in terms of the desire and ability of individuals or families to use new technologies are closely related to what is happening within working organizations.”(p.288)
The paper focuses on the dualism of the labour market and consumption patterns arising from the uneven process of acquisition of ICT-related skills. In particular, it aims at assessing the new dimension this adds to the relationship between inequality and growth following two directions:
a) the negative impact on inequality, since it reinforces via a positive feedback the tendency towards inequality of income and opportunities;
b) the negative impact on growth, since the spread of ICT products might be constrained by the unevenness of consumer learning.
The paper also aims at bringing together studies from different perspectives, from those that have focused on inequality to those focusing on skill acquisition and learning, to highlight a new phenomenon that might be a serious limitation for the development of a “knowledge economy” often advocated by the European Community. In this perspective, it may contribute to the design of policy that should correct these negative effects.

1b.5) Carmelo Parello: “An Innovation-Based Growth Model of Unemployment and Wage Inequality” (55) OK

Abstract
Thus far, Schumpeterian growth literature has analyzed the relationship between growth and
unemployment by focusing on an hybrid R&D-based endogenous growth model, in which
unemployment results because of the existence of market frictions. Although an approach as such
is capable of accounting for the role played by technological progress in destroying jobs, this
literature is silent as regard the issue of change in wage inequality that technological progress
generates over time.
This contribution is intended to fill this gap, by using a Schumpeterian endogenous growth model
in which we do not allow for a Walrasian labour market and in which productivity of labour is
assumed to be affected by the firms wage offer. Specifically, we assume that effort may differ
among individuals and that the increase in efficiency resulting from the same increase in effort
differs across manufacturing and R&D but not between industries.
In our model, individuals are either employed or unemployed. If they are employed, they can adjust
their effort, but they also derive some disutility from effort at work. We apply the idea of Akerlof
(1982) and Akerlof and Yellen (1990) that when deciding about their effort, individuals respect a
fairness norm, in the sense that they compare their wage with their own opportunities outside their
present occupation, including unemployment. With homogeneous labour, these outside
opportunities can be measured by the average labour income in the economy, including the labour
income of the unemployed (which can be assumed to be zero in the basic model, or positive –
because of government benefits- in an possible extension). In order to dispense with aggregation
problems, we follow Gali (1995) and assume that the savings-consumption decision is made by
households. The households preferences are represented by an instantaneous utility function that
is (i) separable between utility from household consumption and the family members disutility of
effort, and (ii) linear in the individual disutility of effort.
The aims of the paper are the following:
1. To build a tractable analytical framework in which both innovation-based growth and
unemployment are endogenous outcomes of the model.
2. To study the positive properties of the model and highlight the existing relationship between
technological advances, the rise of unemployment and the evolution of wage inequality.
3. To study the normative properties of the model by analyzing the possible relationship between
R&D policy and employment policy.


2) SOCIAL DYNAMICS

2.1) Francesco Drago: “Self-fulfilling beliefs and persistent inequality” (36) OK: MANCA UNA RIMODULAZIONE DELL'ABSTRACT PER UN CONTRIBUTO ESCLUSIVAMENTE TEORICO

Abstract
La ricerca intende offrire un modello teorico di disuguaglianza persistente in cui self-fulfilling beliefs sulla relazione tra sforzo e successo economico rappresentano la forza che determina un basso tasso di mobilità sociale. Seguendo alcuni recenti contributi (ad esempio Piketty, 1995) il paper prende come punto di partenza due teorie fondamentali che in sociologia spiegano i bassi tassi di mobilità sociale. La prima di Merton e Boudon sostiene che gli individui valutano la loro performance paragonandola ad un "reference group" dal quale provengono. In questa teoria, gli agenti che provengono dai ceti bassi sono più facilmente soddisfatti della loro performance e dunque meno motivati a raggiungere alte posizioni nella scala sociale rispetto agli agenti che provengono da ceti sociali più alti. La seconda teoria è quella di Bourdie che attribuisce la disuguaglianza persistente al "discorso dominante" nelle società capitaliste e al modo in cui questo scoraggia gli agenti dei ceti più bassi ad intraprendere azioni dirette verso posizioni sociali più
prestigiose. Un esempio è il ben noto modello di "statistical discrimination". Le due teorie hanno implicazioni di politica economica e di giustizia sociale ben differenti. Tuttavia in entrambe le teorie i poveri rimangono poveri perché non sono sufficientemente motivati ed in questo senso le maggiori implicazioni sono a livello econometrico "observationally equivalent". Il paper tenta di offrire un modello teorico che unisce in un unico framework queste due teorie. Il tentativo è quello di offrire un modello teorico che produca dei test empirici per discriminare la prima teoria dalla seconda. Il secondo stage della ricerca cerca mira a stimare con dati NLSY e German Socio Economic Panel la forza relativa di queste due teorie nello spiegare i tassi di mobilità sociale in US e in Germania.

2.2) Lavezzi-Meccheri “Random Networks, Output and Inequality” OK

In this paper we extend the model of job contact networks of Calvò-Armengol and Jackson (2004, 2005) to consider random networks, that is networks in which the link structure is drawn from a known distribution in every period, drawing on Lavezzi and Meccheri (2005) for the consideration of heterogeneous jobs.

In this way we aim at two results: to isolate the "pure" effect of network density (which reflects the average number of links in a network) from the effect of topology (discussed in detail in Lavezzi and Meccheri, 2006); to suggest a possible way of evaluating the "strength of weak ties hypothesis" (Granovetter, 1973), when random links are interpreted as "weak links", that is social relationships characterized by a low frequency of interaction.

Preliminary results from simulations show that in random networks: i) an increase in network density increases output and reduces inequality, but there are clear decreasing returns; ii) random networks with the same density produce the same level of output and inequality, irrespectively of the relative values of density's determinants, i. e. the number of agents (n) and the probability of link formation (p). On the contrary, when we compare this reult with fixed networks, the same density can be associated to different levels of output and inequality, according to the network geometry. iii) If we consider random contacts as weak ties, it seems that the hypothesis on the ``strength of weak ties'' is verified in our framework only if the comparison is made with a ``fixed network'' which displays an asymmetric geometry of social links.